Ricordati che devi morire! Il monito di Savonarola che echeggia
tra le mura della chiesa che, tutt’un tratto diventano tetre, cupe e un po’ pulp.
Ovviamente ne approfitto per un selfie che è destinato a
diventare storico: Il selfie con la morte!
E qui mi sorgono d’obbligo un paio di domande:
- La consapevolezza di dover morire equivale a conoscere la propria distanza dalle stelle?
- Sapere di dover morire rende la nostra esistenza migliore?
La nostra vita, se diventa la vita di un condannato a morte,
di uno che deve morire domani, rischia di perdere la lungimiranza di un uomo
che pensa come se dovesse vivere per sempre.
Mi viene in mente la propaganda elettorale di Carlo Tassi
(deputato in camici nera degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso) che in un biglietto
nero recava la frase: “vivo come se dovessi morire domani, penso come se
dovessi vivere sempre!”
Ma reputo impossibile non cadere in confusione tra le due
estreme consapevolezze: l’uomo comune, quale io sono, tende a cadere in
contraddizione con se stesso se deve assumere entrambe le soluzioni che sono l’una
il contrario dell’altra. Poiché vivere e pensare sono un tutt’uno, finiremmo
col cercare di avere tutto subito, senza aspettare nemmeno un minuto!
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