Le truffe sul web sono spesso molto fantasiose, oltre che
laide, e cercano spesso di intercettare comportamenti potenzialmente
disonorevoli per estorcere qualche euro al malcapitato.
I più cattivi sono quei sistemi che scaricano direttamente i
soldi dalla sim del nostro cellulare e che ci consentono si la cancellazione
dal servizio, ma intanto una settimana di abbonamento, di solito 5 euro la
hanno scaricata.
Di solito si attivano automaticamente cliccando su banner
grafici con ragazze seminude ed ammiccanti, roba da sporcaccioni, insomma, cosa
che di per se è deterrente rispetto a denunce da parte dei malcapitati.
La cosa spaventosa è poi il fatto che difendendosi dietro la
foglia di fico della privacy dell’utente, nella bolletta telefonica non compare
il dettaglio dei servizi erogati, e c’è così gente che senza saperlo, senza
essersene mai accorta paga per anni questi abbonamenti.
In alcuni casi, soprattutto sui tablet e sugli iphone, i
banner portano a pagine che apparentemente bloccano i dispositivi ed il
messaggio che compare è la richiesta di versare ad un cero conto paypal una
cifra, di solito 90 euro, per poterli sbloccare. Sono soprattutto gli utenti
inesperti a cadere nel tranello. Immaginatevi un vecchietto che si trova davanti
ad un messaggio del genere, e che probabilmente, prima di chiamare il nipote
per chiedere cosa fare, probabilmente decide di pagare …. Senza peraltro
risolvere nulla e ritrovandosi cornuto e mazziato!
Oggi, leggendo la rassegna stampa,
mi capita sotto l’occhio un articolo del Fatto quotidiano (che riporto
integralmente) e che, sinceramente, mi ha lasciato un po’ sconcertato, ma che
nella realtà mi pare estremamente plausibile.
(fatto quotidiano 8.10.2014)
Facebook, ricatti sessuali sui social network. “Attenti alle
richieste d’amicizia”
Sono vere e proprie estorsioni di piccolo cabotaggio: 150,
200 euro per evitare che il video hard scambiato dalla nuova amica su Fb
finisca nella bacheca di mogli, fidanzate, ecc. La polizia postale:
"Arrivano 20 segnalazioni a settimana"
Solitamente il primo contatto avviene su Skype, più
raramente su Facebook. Dalla foto ‘lei’ sembra molto carina, ti contatta e
inizia a chiacchierare. La conversazione va avanti “non è che per caso hai
anche un profilo Facebook?”. “Certo”, risponde lo sventurato e piazza in mano
al ricattatore tutti i suoi possibili contatti. Perché intanto la chiacchierata
ha preso quota, si fa intima e lei per fare capire le sue intenzioni gli manda
un video hard. Lui pensa sia la sua giornata fortunata e sta al gioco. A video
risponde con video o qualche foto dello stesso tenore. E dall’altra parte tutto
viene registrato. “E’ a questo punto – racconta Renzo Ferrai, ispettore capo
della Polizia postale del Trentino Alto Adige – che scatta l’estorsione”. O
paghi, 100-150 euro, o il tuo video sarà caricato su Youtube e condiviso con la
fidanzata, parenti e amici. Succede così, sempre più spesso, non solo nei
pressi di Trento o Bolzano, dove solo l’ultima settimana sono arrivate una
ventina di segnalazioni, ma in tutta Italia.
Di solito Youtube questo tipo di filmati li elimina in
fretta, oppure lo fa con solerzia dopo la richiesta della Polizia Postale. Ma
la rete è piena di luoghi dove piazzare un filmato compromettente. Una truffa
di piccolo cabotaggio “che gioca sui grandi numeri perché probabilmente i
tentativi sono centinaia ogni giorno”, aggiunge Ferrai. Denunce ce ne sono
poche, spesso si tratta di segnalazioni, di persone che si rivolgono alla
Polizia per sapere come comportarsi. E qualcuno paga. C’è il quindicenne come
il sessantenne che magari si è beccato anche un bello spavento perché gli hanno
inviato un video con una ragazzina chiaramente minorenne. A loro modo gli
estorsori sono anche corretti. L’ispettore spiega infatti che non si è mai
verificato il caso che dopo il pagamento i truffatori tornassero alla carica
con altre richieste. E’ un colpo da una botta e via. Anche se il timore rimane
perché la copia di video e foto è sempre nelle loro mani. Ma non si può fare
nulla per fermarli? “Sì, ma la procedura è lunga”. Prima ci vuole la querela,
poi l’avvio del procedimento penale, l’intervento del magistrato che richiede a
Facebook i dati relativi al contatto e la decisione del social network. Tutto è
possibile ma la trafila è lunga. E la truffa continua. “Attenzione, quindi,
alle richieste di amicizia”.
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